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Demetri, Personaggio del libro

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view post Posted on 27/12/2008, 13:36
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Ci sono pugnali nei sorrisi degli uomini.

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Nome: Demetri

Cognome://

Razza: vampiro

Data di nascita: 8 aprile 1082

Età-apparente: 27 anni

Età-effettiva: 927 anni, circa.

Descrizione fisica: Capelli castani, corti e selvaggi, occhi rossi e leggermente allungati in una forma accattivante e pungente; carnagione candida ma leggermente olivastra. Fattezze, lineamenti e ed espressioni sfuggenti, sfilate, ispide e rigide, implacabili e impenetrabili, capaci, nonostante tutto, di lasciar trasparire un sottile e tagliente filo di superbia, sadica soddisfazione, scherno e inesorabilità. La sua voce è sottile, tagliente, presuntuosa ma lineare e seducente. E' un vampiro particolarmente bello e affascinante. Il suo fisico, slanciato e leggermente esile, sembra scolpito nel marmo, ed è perfettamente ben impostato nella muscolatura allungata ma gonfia, e nel singolare portamento dalla selvaggia ma estrema eleganza. Il suo sguardo fa accapponare la pelle: nelle sue iridi cremisi sfolgora il nulla, capace di respingere o risucchiare in se il mondo intero. Oltre alla divisa scura impostagli dalla congrega di Volterra, gli piace indossare la sua tunica bianca, che porta con sè dal Medio Oriente, ancora intatta dopo secoli, in memoria della sua "movimentata" esistenza umana.





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Potere Speciale: E' un segugio, uno molto speciale. Infatti, oltre all'ossessione per la caccia, che gli permette di avere tutti i sensi di gran lunga molto più "meticolosi e precisi" di ogni altro vampiro (percepisce praticamente l'impossibile anche a grandi distanze), compresa forza e velocità, Demetri possiede il potere della Posizione Sensoriale: trovare qualsiasi essere vivente a qualunque distanza. Sentendo la "tonalità dei pensieri" distintiva della mente di ogni persona, può trovare qualunque individuo, non importa dove esso si trovi.
E' il miglior vampiro noto con questo potere, e questo fa di lui il più grande tracker (segugio) del mondo, di gran lunga superiore anche a James e Alistair. Se il potere di Demetri non avesse fatto di lui il più grande tracker del mondo, Aro lo avrebbe sostituito sin da subito, dato che non ama circondarsi di numeri due.

Carattere: Non molto loquace e introverso, è per questo apparentemente percepito come ragionevole, molto gentile, anche formale. Questa è solo la maschera di gran classe alla sua vera natura. Malgrado sia davvero innatamente abile a mantenere il sangue freddo (è davvero difficile vederlo arrabbiato) e nonostante possega eleganza e fascino disumani (ma con quel pizzico di selvaggio tipico di un grande predatore) e altrettanto innati , in realtà è astuto, sadico, perverso, sprezzante, beffardo, superbo, presuntuoso, insolente, orgoglioso, sfrontato e sicuro di se (odia e sdegna tutto quello che non è lui), un bugiardo incallito (sarebbe capace di vendere la terra e farla passare per oro) pieno di sè, un pallone gonfiato animato solo da manie di grandezza, superiorità, sottomissione, imposizione.
Dati i suoi poteri e la sua indole, è davvero difficile prendersi gioco di lui... più che altro è lui che si prende gioco degli altri, niente gli riesce meglio di questo: opportunismo e doppiogiochismo sono due delle sue più grandi e peculiari doti.
Non esiste cosa migliore per lui della compagnia femminile, ma più che altro è il suo modo per passare il tempo; riesce anche solo a parole a far sua una donna: non passa mai due volte per lo stesso letto, ma quasi la metà delle donne Italiane sono passate per il suo. In realtà non si è mai concesso davvero a nessuno.. sebbene nutra un'ambigua, terribile e per lui inaccettabile, attrazione per Heidi, la cacciatrice dei Volturi, ragion per cui nessuno ne è al corrente, se non lei, che dal canto suo mantiene una sostenuta posizione indefinita al riguardo.
Sarebbe capace di sfottere il re, se ce lo avesse davanti, e questo è il motivo per cui si ritrova spesso coinvolto in "civili e raffinate" dispute verbali con Aro, il quale da parte sua, lo asseconda quanto può, cosciente del potere per lui fin troppo inestimabile del segugio.
Dato il suo carattere e la sua posizione all'interno del mondo dei suoi simili, non si fida di nessuna ma sembra che lui e Felix condividano una stretta amicizia.


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Storia: Ci sono pugnali nei sorrisi degli uomini.

Anno 1082 dopo la venuta di Cristo, Roma.
Nella città, sulla quale il Papa esercitava il suo potere temporale ed assolutistico come fosse un monarca illuminato, gli eventi si susseguivano con frenesia ed irrazionalità, sotto il segno delle ingiustizie sociali e delle esecuzioni di piazza.
Roma era la città più trafficata dai signori del Lazio e il potere del Papa attirava pellegrini dai più remoti angoli d'Europa.
Dopo il buio dell'anno 1000, la gente, per diversi decenni, aveva cercato un punto di riferimento nelle autorità politiche, trovandolo, malauguratamente aggiungerei, nella fonte più raggiante ed esplosiva , la più autoritaria: la figura del Papa, la reincarnazione di Cristo sulla terra, la discendenza di Pietro, al quale furono affidate le chiavi della chiesa di Cristo.
Papa Gregorio VII, era il personaggio più influente sul paesaggio politico dell'europa dell'undicesimo secolo.

Durazzo.
Nel 1081 D.C. , l'anno prima degli eventi che mi appresterò a narrare, Roberto D'altavilla , detto il Guiscardo, era intento a radunare più di trentaseimila(36 000) uomini per sferrare l'attacco decisivo ad una delle ultime fortezze Bizantine .
La fortezza di Durazzo in Veneto era ben difesa, e rappresentava uno dei pochi baluardi dell'imperatore d'Oriente in Italia. Così, pur di difindere la fortezza, i Bizantrini chiedero aiuto ai Veneziani, che apportarono a Durazzo difese fino ad allora soltanto immaginate.
Il Guiscardo però non era tipo da tirarsi indietro così facilmente e per questo inviò i suoi ambasciatori li dove sapeva avesse potuto trovare aiuto con la potenza dell'oro.

I miti del sangue e della terra.
I Romani, 1000 anni prima degli eventi da me narrati avevano costituito l'impero più grande mai visto.
Nemmeno Alessandro Magno avrebbe mai immaginato un impero così grande.
Una struttura politica, sociale ed economica, che sarebbe stata eguagliata soltanto nel 1200 d.c. dall'impero Cinese e da quello persiano qualche anno prima, o giù di lì.
L'impero romano si estendeva dalla Spagna, passando per il Nord dell'Africa tutto , fino ai possedimenti dell'attuale Turchia, al confine con i regni dei Parti; passando a nord si sfioravano i possedimenti dei principi Polacchi, la Francia e la Gran Bretagna erano dominate fino al vallo di Adriano nell'odierna Scozia, eppure l'impresa non fu mai portata a termine.

Nella cartina mancava ancora un pezzo dell'immenso Puzzle: la disunita e barbara Germania.
Lì popolazioni barbariche, erano considerati gli spartani della nuova epoca, la stirpe tedesca, nata dai miscugli di quella nordica vichinga e quella celtica: aveva caratteristiche ben definite, le stesse che anni dopo Hitler avrebbe utilizzato per descrivere la "razza Ariana".
Alti molto più di qualsiasi altro uomo( considerate che l'altezza media di un romano era intorno ai 164 cm mentre un barbaro poteva toccare i 187 cm), con le barbe e i capelli folti e mal curati, castani e biondi, con gli occhi chiari per guardare lontano tra le lande bianche. Vestiti di stracci e pellicce d'animali.
Guerrieri nati.
Ogni tentativo di conquista di quelle terre, per i romani significò una serie di fallimenti a catena.

"Varo rendimi le mie legioni." cit. Augusto dopo la battaglia dell Selva di Teutoburgo.

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Un Mercenario.
Detlef Aoron di Strasburgo faceva parte di una delle più grandi famiglie che vantavano una tradizione guerriera più ferrea.
Sottoposto ad una durissima educazione militare e religiosa, si arruolò presso un gruppo mercenario.
Nel 1081 un ambasciatore di Roberto D'Altavilla giunge al luogo di ritrovo dei mercenari e propone loro oro e diamanti in cambio delle loro lame e della loro fedeltà.

La battaglia di Durazzo e l'arrivo a Roma
Come poi avrebbe raccontato lui stesso centinaia , anzi migliaia , di nauseanti volte, Detlef, mio padre, partecipò alla battaglia di Durazzo.

<<.. il cielo era scuro sopra le nostre teste. La cavalleria s'era impantanata a causa della pioggia e del fango, era il 4° giorno d'assedio .
Gli arieti e le catapulte, almeno per la maggior parte, erano andati quasi tutti distrutti, a noi non restavano che le scale per assaltare l'ultima delle due cinta murarie.
La prima era caduta quasi subito ancora prima che i frinforzi veneziani giungessero alla città via mare, passando dai porti per dare man forte.
Da allora eravamo accampati sotto la prima cinta, con le scale pronte e una pioggia di frecce a bersagliare e riempire le nostre giornate.
All'alba del quinto giorno finalmente ci muovemmo, armati di spade, lance, forconi, chi addirittura con delle pale e tutto ciò che fosse utile a ferire o uccidere. Gli arcieri, a corto di dardi, si erano improvvisati flombonieri, dato che di sassi era più facile a trovarne.
[..]Finalmente, dopo 3 ore di combattimenti, il 7° giorno Durazzo cadde, ma dei miei compagni non c'era traccia se non di pochi.>>
Detlef nella battaglia non si era particolarmente distinto per abilità, ma aveva portato a casa la pelle e con ferite superficiali, così , dopo esser stato pagato, benchè il suo gruppo fosse stato quasi interamente sterminato, esso decise di rendere omaggio al Signore.
Andò così a Roma e li conobbe una sgualdrina, una prostituta da 4 soldi, e vi passò una notte senza preoccuparsi delle conseguenze. La donna rimase incinta e Detlef ebbe un'idea.
Se l'erede fosse stato maschio, l'avrebbe portato con se , se fosse stata una donna l'avrebbe lasciata con la madre.

Nacqui in primavera, in quella stagione che simboleggia la rinascita, come quella di Cristo, la stagione in cui la natura risplende e dona un tocco di sé ad ogni uomo, cambiando anche il profumo dell'aria.

L'8 Aprile 1082 mi fu donata la vita, nacqui nella casa ove i miei genitori avevano deciso di trascorrere insieme quei 9 mesi prima della mia venuta al mondo
Forse mia madre sperava di far affezionare Detlef tanto da convincerlo a restare con lei.
In realtà questi altro non aspettava che sapere il sesso della futura progenie.
Scelse di chiamarmi con un nome latino.
Demetri, un nome che discendeva da "Demetrius", che in greco sta per " devoto a Demeter". Non casualmente, Demeter è la grande madre terra, madre di quella divinità, Proserpina, che è simbolo della natura in rinascita e quindi primavera, la stagione in cui nacqui. Un nome pagano ad un figlio della cristianità, l'incongruenza del mio destino era già scritta sin dalla mia nascita.
Il miscuglio dei due ceppi , quello nordico e quello mediterraneo, era perfetto e lo si poteva notare fin da subito.
Nonostante avessi ereditato da Detelf i tratti nordici, duri, ispidi, e già distinguibili fin da piccolo, la mia carnagione era olivastra e tipicamente mediterranea, unica cosa che so appartenesse e fosse caratteristica di mia madre.
Quel particolare tratto somatico , d'altronde, non sarebbe mai cambiato nemmeno dopo i fatti che racconterò in seguito.
Venni strappato dalle braccia di mia madre, Detlef mi mostrò al mondo, portandomi orgoglioso come suo erede.
Passammo i primi anni della mia vita in sella, a girovagare per l'Italia senza meta fissa; Detlef fu l'unico della mia famiglia che conobbi.
Ci fermammo in Germania nel 1085 quando avevo 3 anni: mentre li a Monaco di Baviera giunse la notizia della morte di Roberto D'altavilla, mio padre comprava casa in città con i guadagni delle imprese belliche.

Eccomi qua, il senza madre , il senza etica ed il senza valori.
Che cosa fossi non avrei saputo definirlo nemmeno io: immaginate anche solo per un secondo, tornate indietro a quando eravate solo dei fanciulli.
Che cosa ricordate della vostra infanzia? Un sorriso di vostro padre, una carezza di vostra madre, stare a letto insieme a loro, mano nella mano, abbracciato ad entrambi ed abbracciato così alla vita... cominciare ad ammirare entrambi .
Ammirarli non perchè siano degli eroi, non parliamo di Ercole, Bellerofronte, Perseo, Aiace, ecc.. ma soltanto di vostra madre e vostro padre, amati in quanto tali, dai quali prendere spunto ed esempio.

Crebbi così con un immenso vuoto, un vuoto che non riuscivo a colmare, una sensazione che chiamava una madre inesistente ed un padre che ti vede soltanto come una soldatino da addestrare alla guerra.
Così mi affezionaì più alle armi di Detlef che ad egli stesso.
Fin dall'età di 5 anni iniziaì a maneggiare i coltelli, la mia grande passione: ne usaì di tutti i tipi, da lancio e da corpo a corpo, con punta ricurva e con doppia lama.
Mio padre era contento di ciò e mi incoraggiava molto, ma sempre con quell'atteggiamento distaccato e compiaciuto: pareva quasi un maestro e non un padre. Detlef mi insegnò l'arte della guerra.

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27 Novembre , anno 1095 D.C.
Vaticano, 1095 , 27 novembre.
Le campane suonavano potenti ad annunciare il Papa che sarebbe uscito a breve dal balcone del Vaticano, affacciandosi alla folla acclamante e preoccupata dall'improvvisa convocazione.
Ero li anch'io, insieme a Detlef, insieme agli ambasciatoi che parlavano le varie lingue delle terre più importanti dell'Europa.

Papa Urbano II si affacciò e mostrò le braccia al cielo salutando gli acclamanti fedeli. Negli occhi di Detlef splendeva una luce particolare, era lo Zelo.
Era come non mi ero mai sentito io, già odiavo quella figura: divorato dalla vecchiaia Urbano II aveva un atteggiamento autoritario ed orgoglioso , non sorridente... sembrava un monarca.

"...E' impellente che vi affrettiate a marciare in soccorso dei vostri fratelli che abitano in Oriente... I Turchi e gli Arabi si sono scagliati contro di loro e hanno invaso le frontiere della Romania (Impero bizantino) fino al luogo del Mar Mediterraneo detto Braccio di S.Giorgio (stretto dei Dardanelli)... Hanno messo a soqquadro tutte le chiese e devastato tutti i paesi sottoposti alla dominazione cristiana...

A coloro che, partiti per questa Guerra Santa, perderanno la vita sia durante il percorso di terra, sia attraversando il mare, sia combattendo gli idolatri, saranno rimessi per questo stesso fatto tutti i peccati...

Niente dunque ritardi la partenza di quanti parteciperanno a questa spedizione: diano in affitto le terre, raccolgano tutto il denaro necessario al loro mantenimento e non appena l'inverno sarà finito e cederà alla primavera, si mettano in cammino sotto la guida del Signore..."

A queste parole la folla esplose in grida d'acclamazione, il mio destino era già segnato.

La I Crociata
Come facesse un ragazzino appena tredicenne a cavalcare tanto bene ed a farsi obbedire da una bestia alta molto più di lui e tanto più potente, se lo chiedevano tutti tra le file dei "servi del Signore".
Cavalcavo al fianco di mio padre, un portamento da vero guerriero e nello sguardo l'obbiettivo di una vita.
Avevo riempito il vuoto con l'unica cosa che aveva potuto insegnarmi Datlef: orgoglio, onore e ambizione, di queste qualità non avreì fatto a meno mai ed in nessuna vita.
La fila dei servi del Signore, che da Monaco di Baviera cavalcavano verso Costantinopoli, era immensa: si perdeva lungo la strada in terra battuta , in file da quaranta e più uomini. Si allungava da ogni città della Germania, si incontrava con quelle provenienti dall'Italia e dalla Polonia, e tutta nel suo insieme marciava giù per l'Ungheria e l'Austria fino a Costantinopoli, con al seguito donne e bambini, scudieri e reggimenti di fanteria.
La crociata era iniziata e sarebbe passata su molti corpi inermi.

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Il primo amico.
Una sera, dopo il nostro arrivo nelle terre Bulgare , mentre mi aggiravo per l'accampamento in cerca di un pò di pane da mangiare, entraì in una tenda adibita alle provviste.
Due soldati armati di alabarde mi allontanarono, convinti che fossi un ladruncolo: vista la tenera età non potevano immaginare che facessi parte della crociata, ed il mio accento fortemente tedesco non li aveva messi sulla giusta strada.
Sconsolato, vagaì ancora fino a trovare un fuocherello acceso da un ragazzino poco più grande di me.
Quel ragazzo aveva in mano della carne essiccata, me la offrì e mi permise di sedermi accanto a lui.
Non sapevo di che nazionalità fosse, ma anche lui parlava la mia lingua, o comunque l'impressione che ebbi allora fu che mi capisse, ed io capivo lui.
Quel ragazzo si chiamava Felix, ed avendo 16 anni, all'epoca si era arruolato da solo per la crociata, ma non era un ragazzino come gli altri: era molto alto ed aveva spalle molto più larghe del normale, infine era dotato di una forza tale da poter mettere K.O. anche un uomo più grande di lui o per sollevare pesi di eccessiva gravità.
Eppure, nonostante la sua forza, già all'epoca in lui si poteva scorgere un appagamento interiore: non c'era tormento nel suo animo, non c'era assolutamente nulla che non fosse buoni sentimenti e valori giusti; l'umiltà era il suo più grande pregio.

Arrivammo a Costantinopoli un anno in primavera, l'8 aprile compii 14 anni; eravamo li a Bisanzio ma dovevamo aspettare l'arrivo degli altri eserciti crociati, quello spagnolo, quello francese e quel Re d'Inghilterra, che ancora avrebbero tardato .
Così, insieme al mio nuovo amico Felix, combattevamo ogni giorno allenandoci, pronti per quando saremmo dovuti scendere in battaglia, cosa che sarebbe avvenuta nel giugno dell'anno successivo.

Nicea, Dorileo, Iconio. Poi L'Eracla, la presa della contea di Edessa fino all'assedio di Antiochia.
Nel 1098 riuscimmo finalmente ad entrare in città. Ormai era già diverso tempo che combattevo nell'esercito crociato ed io come Felix, così come tutti gli altri, eravamo stanchi, abbattuti e demoralizzati da questa guerra che sembrava non finire mai.
L'esercito persiano portava enormi elefanti da guerra oltre il tigri, gli arcieri della Trebisonda scendevano la Mesopotamia in aiuto di Antiochia, mentre dai giardini pensili di Baghdad il Gran sultano di Turchia inviava cavalieri che cavalcavano cammelli ed arcieri con medesime cavalcature contro di noi.
Detlef ormai era vecchio ma il suo Zelo, quello che gli vidi quella volta negli occhi, adesso s'era reso fanatismo vero e proprio, la sua sete di sangue non aveva pari ma era anche la formula che l'avrebbe portato alla distruzione.
Ormai erano passati due lunghi anni e le mie mani erano più sporche che mai di sangue, che fossi però davvero cosciente o meno di ciò che facevo questo non avrei saputo dirlo: forse non lo ero realmente, forse volevo credere di esserlo. Avevo soltanto 16 anni appena compiuti.

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Sconfitta!
L'esercito crociato ormai era diviso in armate e divisioni, e io e mio padre eravamo stati destinati ad una divisione d'avanguardia, mentre la divisione a cui era stato affidato Felix ci seguiva a molte miglia di distanza.
Tra noi e Gerusalemme ora c'era la sola fortezza di Maarat.
Senza voler aspettare altro, il capo della mia divisione, animato dal consenso generale, pose la fortezza sotto assedio.
Il disastro era compiuto: mentre eravamo in città a massacrare e combattere contro le forze egiziane poste a difesa della fortezza i Beduini del Sultano di Turchia, ci presero alle spalle.
Il massacro era compiuto, Detlef cadde vittima di uno dei pericolosissimi dardi scagliati dai beduini, la divisione venen sbaragliata e dispersa.
Ferito com'ero feci appena in tempo a rubare una cavalcatura ed avventurarmi nell'unica direzione possibile: il deserto.
Vagaì per 2 giorni e 2 notti senza mai fermarmi. Era il 10 di Dicembre e la città di Maarat era stata nuovamente messa sotto assedio: in lontanaza potevo sentire le urla ed il clangore della battaglia che si svolgeva presso la fortezza che adesso i persiani erano giunti a difendere.
Mi ero accampato a qualche chilometro dalla città, convinto che dopo che l'assedio fosse stato portato a termine sareì potuto entrare in città stavolta da alleato.
Sembrava strano ma la morte di Deflet non mi aveva sconvolto, anzi meglio, per me ormai non significava più niente: da quando eravamo partiti per la crociata, era diventato un semplice commilitone con il quale avevo scambiato soltanto qualche parola. Non sembrava minimamente che vi avessi passato 16 anni della mia vita, piuttosto mi ero molto più affezionato a Felix, che ormai, nella mia mente, aveva assunto le sembianze di un fratello maggiore.
Strano a dirsi che proprio a lui fossero rivolti i miei pensieri e le mie angosce, addirittura più che a me stesso.
Che cosa stesse facendo e dove fosse, se fosse ancora vivo o meno... per la prima volta in vita mia sentiì di dovere qualcosa a qualcuno, mi sentivo angosciato per lui .

Non feci in tempo a cantar vittoria: la sera del 10 Dicembre 1098 D.C. i beduini mi scovarono e mi catturarono.
Erano due giorni che non bevevo e non mangiavo, loro mi offrirono acqua e cibo , d'un tratto non sembravano certo il popolo rozzo e barbarico che ci era stato descritto alla nostra partenza, i musulmani anzi erano un popolo assai evoluto e me ne accorsi quando , dopo avermi fatto loro "prigioniero", mi invitarono a seguirli verso Baghdad, la capitale.

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Il fulcro della civiltà
La società musulmana, così com'era organizzata, avrebbe fatto invidia ai più potenti popoli d'Europa. Mentre li , infatti, era più evidente la miseria e lo squallore delle città, a Baghdad era tutto diverso.
Il Sultano decise così, nella sua bontà, di risparmiare la mia vita, ma mi tenne prigioniero presso di sé.
D'altronde non mi rinchiuse in cella come avrebbe fatto qualsiasi sovrano d'Europa, ma mi permise di vivere a palazzo.
Fu così che rimasi li in quella gabbia dorata a croggiolarmi tra la cultura di quel popolo, le loro credenze e le loro invenzioni: erano il popolo più avanzato del mondo, mi insegnarono l'eleganza , nei movimenti e nei gesti, mi trasformarono in un vero uomo.
Dopo 4 mesi venni convocato nella a corte dal gran sultano. Ai piedi del suo trono riconobbi l'imponente figura di Felix, inginocchiato dinnanzi al sovrano. Era venuto a salvarmi ma comprese che da salvare non v'era nulla. Era disertore, dopo la mia scomparsa era scappato dall'esercito per venirmi a cercare, ed ora che mi aveva trovato non voleva più che scappassi alla sua custodia. Il sovrano di Turchia decise così di ammetterlo presso la sua corte.
Entrambi ci dedicammo alla sua causa e fummo addestrati come assassini.
Gli assassini del Gran Sultano di Turchia.
Dopo la presa di Gerusalemme nel 1099 D.C da parte dei crociati , la Terra Santa venne sconvolta dai conflitti e dalle guerre, e mentre in Arabia si faceva sempre più prepotente ed avanzava la figura di Saladino, sultano saraceno, la Turchia si preparava a respingere i crociati che avano intenzione di marciare su Bagdhdad.
Insieme a Felix venimmo addestrati in tutti quegli anni, entrando nell'elitè dei fedelissimi del Sultano, ci vennero insegnati i modi più incredibili per assassinare una persona, fummo sottoposti all'addestramento più duro del mondo.
Finalmente eravamo pronti, alla fine del addestramento avevo 23 anni e Felix 26, ed insieme portammo a termine gli incarichi che il sovrano ci proponeva.
V'era un mercante che intralciava i nostri commerci? Un signorotto che acquisiva pericolosamente potere? Una spia nella città? Il capo di una rivolta?
Bene, essi non sopravvivevano al nostro passaggio. Eravamo diventati una coppia imbattibile: così come il giorno e la notte completano la giornata, io e Felix ci completavamo in quella delicata arte. Io la mente e la furtività, lui la forza fisica ed il braccio.
Non era però tutto, ormai eravamo grandi abbastanza da sentire la necessità di soddisfare certe voglie.
Nel regno dei turchi, ci insegnarono anche ad amare, ci insegnarono cosa volesse significare stare tra le braccia di una donna.
Il nostro tempo libero lo passavamo così, a corte, circondati dalle bellezze più indescrivibili, ogni giorno provavamo un'esperienza diversa e cambiavamo ogni volta amore, che si mescolava al divertimento ed al piacere.

Ormai vestivamo come gli assassini del sultano, indossavamo lunghe tuniche bianche con cappucci calati sul volto affinchè l'identità restasse segreta.
Fummo talmente efficaci nell'arte dell'omicidio che il sultano ci impiegò anche in battaglia, contro i crociati stessi, quelli della nostra gente, che ormai per noi erano soltanto oggetti, persone meschine e senza valori, senza cultura e meritevoli solo di soccombere.
La nostra era la superiorità e l'eleganza della morte stessa; ormai avevo 27 anni , ed era l'anno. 1109 D.C. .

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Gli Immortali
Una notte il Gran Sultano di Turchia convocò me, Felix ed altri tre suoi assassini.
Pareva che vi fossero stati degli omicidi nei boschi a Nord di Baghdad, li dove iniziava l'impero un tempo appartenuto ai Parti.
DIversi mercanti e guardie erano stati aggrediti e non erano più tornati indietro.

Partimmo quella stessa notte, dopo due giorni giungemmo nel bosco: l'aria era satura di malvagità, lo avvertivano soprattutto le cavalcature, ormai da tempo inquiete.
Così scendemmo da cavallo e passammo tra gli alberi saltando tra un ramo e l'altro, infine giungemmo in una radura.
Non c'era nessuno, o almeno così sembrava.
Io e Felix scendemmo immediatamente dagli alberi e ci piazzammo al centro della radura, quando all'improvviso i nostri tre compagni, che fino a quel momento erano rimasti accuattati sugli alberi, caddero inermi come uccisi in un attimo.
Immediatamente sguainammo le lame.
Cosa aveva mai potuto sorprendere tre assassini del sultano, che rappresentavano l'elitè dello spionaggio, addestrati nell'arte della furtività e dell'omicidio?
Dal folto degli bosco si fecero avanti camminando 5 donne, ci circondarono.
All'epoca avrei potuto giurare di non aver mai visto forme più belle e più eleganti, ne io ne Felix riuscimmo a resistere al fascino di quelle creature.
I loro occhi erano rossi e lucenti, dello stesso colore del sangue, la loro pelle vellutata e bianca, ancora più bianca delle genti del nord.
I loro capelli avevano una luminosità particolare, i colori erano vivi ed accesi, perfino il nero sembrava aver assunto un colorito più brillante e luminoso.

Nei loro sguardi però si leggeva la malignità in persona, erano il male.
Con uno scatto che andava fuori da ogni capacità umana, tanto rapido da apparire solo come un debole bagliore, ci furono addosso .
Non avemmo nemeno il tempo di poter muovere un dito, la loro forza era incredibile, ci bloccarono a terra ed affondarono i loro denti nelle nostre carni.
Che cosa fossero non lo sapevamo ma sentivamo il nostro sangue scorrere via e quelle creature berlo avidamente.
Improvvisamente iniziarono a ringhiarsi le une contro le altre e prima di sprofondare nell'oblio, potei udirle tentare di ammazzarsi le une con le altre. Producevano però strani stridori metallico-rocciosi, erano assordanti, disumani.
Poi il dolore lancinante, come fuoco vivo che si faceva strada in tutte le mie vene, mi fece perdere i sensi, la vita pronta ad abbandonarmi, la sola eco del mio cuore che, galoppando all'impazzata, cercava disperato di spegnere le fiamme, nel vano tentativo di salvarsi. Attorno a me il nulla della mia incoscienza dei sensi, solo qualche immagine sbiadita e insensata della mia vita appariva come un fantasma quando credevo di essere lucido nel mio coma profondo.

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Requiem
Il saluto della morte è il Requiem. Uno stato di inconscienza nel quale si sprofonda quando non senti più l'ossigeno giungere al cervello. Esso si blocca e smette di inviare impulsi al corpo, senti soltanto un formicolio nel cranio.
Quel giorno non vidi però alcuna luce.
Il mio cuore, dal moto disumanamente frenetico, si fermò di colpo, per sempre, dopo aver estinto il rogo dentro il mio corpo ed ogni altra forma di dolore presente, ma nè Allah nè Dio mi vollero nei loro regni al di là delle nuvole, e a me apparve nuovamente il cielo notturno tra gli alberi.
Intorno a me vi era tantissimo sangue, il nostro stesso sangue, quello dei nostri compagni caduti e quello delle 5 donne che, a proposito, si erano massacrate tra di loro giungendo persino allo smembramento: i loro pezzi erano sparsi nella radura.
Esse sembravano non avere sangue, infatti, benchè si fossero massacrate , esso scorreva soltanto intorno ai pezzi dei loro corpi ed era troppo poco.
Tutto cominciava ad avere senso: le sparizioni erano state sicuramente causate da quele donne, o qualunque mostruose creature fossero mai state. Si erano addirittura massacrate pur di lottarsi i nostri corpi e dilaniarli con i loro canini famelici, particolarmente lunghi e inumanamente appuntiti e affilati come quelli grossi animali predatori.

Mi tiraì su con un'inaudita scioltezza, rapidità e agevolezza, e, nonostante fossi di spalle ed essa, scorsi una figura inginocchiata a qualche metro da me: come un campana in pieno cranio, ne percepivo la presenza, l'odore, le vibrazioni dei movimenti... giurai di avvertirne addirittura il particolare colore e tenore dei pensieri, limpido e informe, così come ogni altra cosa percettibile intorno a me, e non solo, stava soffocandomi i sensi e la mente come se fossero alla portata della mia mano.
Ad ogni modo si trattava di Felix.
Mi avvicinaì a lui, altrettanto confuso e appena sveglio.

I nostri occhi erano diventati rosso sangue, o forse ancora più brillanti e accesi, come la tinta dei rubini, e la nostra pelle iniziava gradualmente a sbiancare: assumevamo sempre più l'aspetto di cadaveri. Dentro di noi, ma in particolar modo dentro di me, sentivamo una sorta di sete apparentemente insaziabile, capace di portarci alla follia, di bruciarci e carbonizzarci la gola, prosciugandola e riempendola di uno strano liquido denso, acido e amaro come un veleno. Più la sete aumentava, più uno strano, inumano istinto di cacciare annebbiava completamente ogni mio pensiero o atto di raziocinio, trasformandomi in una mente brutale e ossessionata dal predare, così come il mio rinnovato e spaventoso istinto mi suggeriva di fare in maniera incondizionata e incondizionabile, più di quanto era comunque abituato a fare nella mia solita e insaziabile voglia di sterminio che si faceva ben viva durante le battaglie. Come se fossi stato sempre così, come se lo avessi già fatto una miriade di volte, ero sicuro di poterlo fare, ma sopratutto ero sicuro che non avrei fallito, e questo mi procurava un insolito, inebriante piacere.


La sete ci stava divorando ed avevamo bisogno di nutrirci, di che cosa non lo sapevamo, benchè il bruciore alla gola sembrava essere provocato dal sangue dei cadeveri vicino a noi, e questo mi portava ad annusarli con terribile brama e accanimento incontrollabili. Infatti i nostri corpi agirono per noi con totale, "abitudinaria", istintiva autonomia, scattando via dalla radura come fulmini, diretti al villaggio più vicino. Il mio naso, più di quello praticamente infallibile del "nuovo" Felix, riusciva a sentire odori molto lontani o leggeri, sentire suoni inverosimili per fattezze e distanze. Entrambi vedevamo di notte come fosse giorno, o forse addirittura meglio, dato che eravamo riusciti a vedere ma non riconoscere diversi colori mai visti prima di allora, alcuni dei quali restavano invisibili persino agli occhi di Felix.
Ci muovemmo nell'ombra, completamente affidati al nostro istinto, ai nostri sensi oltremodo sopraffini, e alla mia ambigua, e a quanto sembrava unica, capacità di "sentire chiaramente le cose vive" ovunque essere fossero. Rapimmo due giovani ragazze, e una volta ritornati alla radura affondammo i denti nelle loro carni, bevendo avidamente il loro sangue fino all'ultima goccia. Il suo sapore era inauditamente dolce, appagante, saziante, irresistibile, ancora più estatico del piacere che avevo provato tra le lenzuola di un letto riscaldato da una delle più abili e bellissime donne del regno.
La nostra sete si era placata ed a ogni sorso sentivo il mio corpo crescere per potenza. Sentivo di non aver bisogno di nient'altro per sopravvivere, se non della caccia e del sangue. Sentivo di aver acquisito un potere enorme: era come se, abituato a cacciare, uccidere, spiare e scovare con accanimento, senza mai fallire, e come nessun'altro aveva mai fatto all'infuori di me, il mio innato e poi sviluppato istinto di fiutare e uccidere fosse esploso, costituendo una parte a se stante e totalizzante di me stesso. Sete e voglia di cacciare crescevano ossessive dentro di me, e più crescevano più i miei sensi sentivano il bisogno di acuirsi e saziarsi. Laddove essi paradossalmente non riuscivano a sopraggiungere, la mia mente giungeva loro in soccorso e, assetata, mi mostrava ogni forma di vita nel mondo, la sua posizione, la sua natura.
Felix, dal canto suo, sembrava evesse qualche difficoltà nel controllare la propria forza, divenuta a dir poco smisurata, capace di far crollare interi edifici con pochi colpi ben assestati.
Una cosa era certa, qualunque cosa fossimo diventati, adesso eravamo uguali in tutto e per tutto alle donne che ci avevano aggredito. In qualche modo dovevano averci contagiati, uccisi. Di sicuro non eravamo vivi: il nostro cuore non batteva, la nostra pelle, alla luce del sole, brillava di una luce ancor più accecante di quella di mille diamanti, era candida e fredda come la neve, sebbene la mia avesse mantenuto una sfumatura olivastra, forse data l'eccessiva scurezza mediterranea che mia madre mi aveva lasciato. Eravamo veloci come saette, forti oltre l'inimaginabile, Felix in particolar modo. Sin da subito ci rendemmo conto che nulla poteva scalfirci se non noi stessi, proprio come i diamanti della quale luce risplendevamo se illuminati dal giorno. Sentivamo l'impercepibile, io ancora più del mio fidato amico. Questo ci portò infine ad una deduzione ancora più grave: non eravamo più umani e, cosa peggiore, eravamo lieti di non esserlo più.

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I Volturi
Fui io, con il mio potere, a trovare Aro, diversi anni dopo quella notte, dopo la quale, tutto aveva perso importanza, spingendoci al vagabondaggio senza regole o limiti. Ormai eravamo indistruttibili.
Capii immediatamente che Aro era come noi, anche se molto più antico. Ambiva a formare una famiglia comprendente gente della sua razza che dominasse ed avesse potere su ogni altro membro esistente, curando ogni forma di arte e conoscenza.
Il suo scopo era quello di riunire quelli di noi con le doti più incredibili e più rare per fondare un nuovo ordine.
Aderii al suo progetto soltanto per mero opportunismo e mai per convinzione, approfittando delle sue smanie di collezionismo. Chissà se lo stesso si sarebbe potuto dire del mio fido amico Felix, con lui non avevo mai parlato di questo all'epoca.
Del resto eravamo diventati ciò che eravamo da poco tempo e non avevamo idea di che cosa potessimo fare o ingegnare, quindi pareva che unirsi ad uno più esperto fosse la nostra unica soluzione.
Confrontandoci l'un l'altro, per capire come la nostra nuova natura aveva deciso di manifestarsi in ognuno di noi, scoprimmo i tratti in comune (forza, velocità e percezioni smisurati) e non (la forza di Felix e il la mia capacità di percepire le cose vive anche a distanza) che essa ci aveva donato, giungendo alla conclusione che, qualunque cosa fossimo, ne rappresentavamo due esemplari particolari e per questo sicuramente in grado di far gola ad Aro.

Egli infatti, che come immaginavo rimase incantato dalle nostre particolari abilità, ci portò con lui a Volterra, e durante quel viaggio scoprimmo più nel particolare ogni causa e dinamica della nostra nuova natura e delle qualità che ne conseguivano. Vampiri, ecco cos'eravamo. Creature leggendarie, fattesi reali sotto in nostri occhi, dentro le nostre carni. Inoltre, come io e Felix avevamo già dedotto, scoprimmo di possedere dei poteri aggiuntivi, speciali, che non tutti i vampiri potevano acquisire ed ereditare dopo la trasformazione, poichè dipendevano da un tratto peculiare e particolarmente accentuato della persona, che dopo la "morte" assumeva un carattere più vivido e soprannaturale. I conti tornarono immediatamente: Felix, che da sempre, per via della sua enorme stazza, aveva avuto una grande forza bruta, era diventato una vera e propria macchina da guerra soprannaturale, mentre io, nel quale sangue scorreva sin dalla nascita l'inarrestabile astuzia, brama e istinto omicida, ero diventato quello che i Volturi chiamavano "segugio", il cacciatore per antonomasia, il più assetato di caccia e sangue tra tutti i vampiri, il più abile, il più dotato e infallibile tra tutti noi predatori immortali. Le mie particolari abilità belliche apprese e ben sviluppate durante tutto il corso della mia vita mortale, avevano infine dato vita al mio potere aggiuntivo, finalizzato sempre al solo scopo di catturare le mie prede sempre e comunque, nel modo migliore, quello infallibile e impeccabile: se in vita ero stato un'artista nel catturare, scovare, intrappolare e uccidere tutti coloro che intralciavano il mio cammino, adesso ero in grado di sentirli, di fiutarli e percepirli con la mente, ovunque essi si trovassero.

A Volterra, Aro aveva istituito l'ordine dei Volturi, famiglia di cui era il capostipite, ed insieme a Caius, Marcus e alle loro rispettive mogli, regnava incontrastato su quelle terre con spietate leggi di condanna e segretezza riguardo la nostra natura e i nostri comportamenti e presenza agli occhi dei mortali.
Man mano che il tempo passava, sempre più vampiri arrivavano alla corte di Aro, arruolati dallo stesso .
Io e Felix , ormai, eravamo diventati inseparabili, benchè tenessimo per noi la nostra amicizia, dato l'ambiente pieno di ipocrisie, falsi perbenismi, spietato e opportunista tanto quanto noi. Ma eravamo sopratutto diventati il braccio armato del capo, insieme ad altri pochi e selezionatissimi elementi che giunsero in seguito, e dei quali Aro aveva grande considerazione: svolgevamo per lui i compiti più gravosi e non finivamo mai di imparare da noi stessi e sulla nostra nuova natura.
Più il tempo passava e più mi rendevo conto di quanto il mio potere fosse immenso e questo aumentava soprattutto la mia ambizione ma anche la mia indipendenza. Cominciai a sdegnare e a non sopportare le leggi e i metodi osservati di Aro, appoggiando sempre più nel tempo il radicalismo mai tenuto in considerazione di Caius. Questo mi portò al mio attuale astio e alle mie continue dispute verbali con Aro, tenute a freno soltanto da quell'opportunismo che anima ormai palesemente entrambi: troppo affezionato al mio talento, la sua brama e vanità da sempre non gli permettono di commettere l'incoscienza di cacciarmi via. Io d'altro canto, ne sono consapevole ed è per questo che ne approfitto ogni volta che posso ma sopratutto, adoro stare dalla parte dei più forti e temuti: questo per me conta più di qualsiasi ideale o fazione. Non mi sarei fermato mai davanti a nulla.

Foto personaggio:
SPOILER (click to view)

Charlie Bewley

Edited by †Heidi~ - 30/11/2010, 17:59
 
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.°•. °•. stety .•° .•°.
view post Posted on 11/1/2010, 22:27




Convalidata
Se devi fare delle modifiche nel corso del GdR apri un post qui sotto e comunica le modifiche che vorresti apportare

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=) e buon divertimento
 
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1 replies since 27/12/2008, 13:36   2056 views
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