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Impossible Dreams, privata - x Demetri (e Jane??)

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†Heidi~
view post Posted on 1/12/2010, 14:38 by: †Heidi~




Heidi

Chi ha detto che i vampiri non sognano? Non avere la possibilità o la necessità di dormire, non significa non poter sognare. Molti di noi trovano la soluzione in un atto puramente figurato e poetico. Ma voi riuscireste mai a vedermi appoggiata al davanzale di una finestra mentre sospiro beata, sognando ad occhi aperti, come un'insulsa fanciulletta disgustosamente umana? Il sogno, quello vero, è dato dall'assopimento della mente, e in quel momento l'incoscio trova finalmente la strada spianata per poter prendere il sopravvento sulla coscienza. Credete forse che una mente tanto vasta come quella di un vampiro non abbia lo spazio per un'incoscio tanto cicplopico quanto la nostra straordinaria razionalità? Da dove credete che giunga la frenesia che invade il nostro corpo quando beviamo il nostro "nettare degli dei"? Non è necessario dormire per sedare il cervello, almeno non per noi. Ed io sognai... quella notte, feci un sogno. Non so dirvi se fosse la classica manifestazione dei miei desideri latenti più reconditi, il frutto di un casuale miscuglio di ricordi e pensieri, o una premonizione.

Il rosso e il viola del cielo al crepuscolo, baciavano dolcemente la morbide dune del deserto ambrato e scuro, immobile, intoccabile all'inesistente vento caldo sottomesso all'aria tiepida della sera che, ormai sul punto di congelarsi, sapeva ancora dell'afa dello zenit di diverse ore prima. Silenzio. Tutto taceva, tutto era immobile. Un senso di pace, regnante in ogni angolo, era sfumato da una lieve e crescente attesa. E poi, pian piano, lo vidi. Dall'orizzonte sfocato, un polverone dapprima piccolo e lontano, si faceva sempre più grande e vicino. Dal vortice informe e dorato, emerse infine, a pochi metri da me, una fiera figura incappucciata di bianco, la veste turco-medievale candida e cosparsa di gioielli e armi lucenti. Sembrava una stella, un astro nascente dalla vellutata sabbia, chiara e sottile, dell'orizzonte. Conoscevo quell'abito, quel portamento freddo, superbo, elegante e in qualche modo rude, sebbene non fosse ancora saturo di quell'innaturale perfezione motoria che avevo visto ogni giorno da quasi cinque secoli. Diedi per scontato di averlo riconosciuto. Ma quando, scoprendosi il volto, mi passò oltre, come se non fossi stata li ( e probabilmente doveva essere così, come se fossi stata la spettatrice di un film), stentai a riconoscerlo. Ero confusa, spaventosamente sorpresa: i suoi occhi, dalla forma e l'espressione tipicamente e immutabilmente affilata, proprio come io la conoscevo, erano però azzurri come il ghiaccio, e risaltavano in modo sconvolgente sulla carnagione insolitamente molto più che pallido-olivastra: era abbronzata e scura, imperlata di sudore! I lineamenti e le rughe d'espressione erano molto più evidenti, vivi, trasudavano quasi stanchezza, fame.
Mi ritrovai improvvissamente all'interno di un'enorme tenda chiara, arredata secondo i più raffinati giusti orientali. Porpora, verde e oro risaltavano sul vasellame, i tappeti e i cuscini sparsi su tutto il pavimento. Tendaggi velati tappezavano completamente la sommità interna della tenda, creando stravaganti incroci dalle linee morbide e dedaliche che quasi impedivano di vedere fino in fondo all'allestimento.
Un sospiro, un sommesso gemito di piacere di una donna, proveniva proprio da li, dove i veli colorati e sovrapposti rendevano le figure e le sagome mere e semplici ombre in lieve movimento. Mi avvicinai al fondo della tenda, ansia e curiosità regnavano in me sovrane.
Lentamente, ma con impazienza, scostai uno dopo l'altro i veli che ostacolavano il mio cammino e la mia vista. Infine la verità mi apparve nuda, cruda, sinuosa e viscida come un Kobra: ai miei piedi, accanto alla veste bianca che avevo visto pochi istanti prima addosso a quell'uomo, e che ora giaceva vuota e appallottolata tra i cuscini, la muscolosa e sfilata corporatura completamente nuda del bruno si muoveva lenta e vigorosa sul corpo candido sfumato di rosa di una donna dai capelli scuri, sovrastandola con sensuale e virile maestria.
I suoi boccoli spettinati e tra le dita scure del suo compagno di letto, le ricoprivano completamente il volto, impedendomi di riconoscerla, mentre una strana, angosciante ed esilarante consapevolezza, un timore più che altro, si facea spazio dentro di me. Le sue cosce e i suoi polpacci tesi e insaziabili, stringevano, abbracciavano e spingevano verso di sè il corpo abbronzato e lucido di sudore del suo affascinante compagno, con una morbosità, egoismo, suadenza, irrequietezza che conoscevo bene: disarmanti. I movimenti non erano perfetti o armoniosi, ne calcolati o disegnati... erano semplicemente passionali, improvvisati, sentiti, istintivi... umani! Umani come quei due amanti nel deserto. Rimasi immobile a guardare, incapace di muovermi, capire, dedurre... forse non volevo. E poi, quando accadde, mi sentii congelare, subito dopo una vampata incandescente in pieno torace. Gli occhi glaciali di Demetri guardarono con fervore e compiacimento il volto femminile che la sua mano, intrappolata tra i boccoli mogano, aveva finalmente scoperto con foga liberandosi della chioma scura. La sfolgorante luminosità di quel volto colpì più la mia coscienza che il mio sguardo. I suoi occhi smeraldo rilucevano di quella familiare infinita malizia disumana, ma lasciavano trapelare una purezza d'animo ormai perduta e dimenticata da tempo. Il viso arrosato e accaldato si colorava di quel rossore con intensità impefetta e mai più vista, eppure perfettamente sfumata, morbida come la seta. In preda al piacere, una Heidi ancora viva sorrideva in un sospiro, mordendosi le labbra umide per poi posarle affamate su quelle sottili e bramose di Demetri, in un estetica morsa erotica fatta di fiati violenti e senza via d'uscita. Di colpo ogni immagine divenne distorta, ammalgamandosi a tutte le altre in un unico vortice denso e caotico, lì, nella voragine vuota che si era aperta nel punto in cui un tempo avevo avuto uno stomaco.


Aprii gli occhi in un solo, semplice e rapidissimo scatto inespressivo, lasciando che le mie iridi sempre più annerite liberassero il mio animo, irritato, confuso e basito. Subito dopo mi issai fulminea e innaturalmente rigida come una tavola di marmo, seduta a mezzo letto nel baldacchino della mia lussuosa camera da letto vittoriana nel castello dei Volturi. Lentamente portai la mia mano leggiadra e affusolata sulle labbra, premendole appena, come a voler bloccare, cancellare qualcosa di indegno, proibito, inaccettabile. La mia immensa stanza, immersa nel buio e nel silenzio del castello di una dormiente Volterra, improvvisamente mi sembrò piccola, capace di saffocarmi come mai mi sarebbe potuto accadere, come se fossi stata ancora e soltanto la splendida (forse, odiavo ammetterlo, più di quanto lo fossi in quel momento) insignificante umana che avevo visto in quella onirica visione. Dovevo uscire, sentire l'aria fresca della sera, nutrirmi se mi fosse stato possibile. Era passato solo qualche giorno dall'ultima volta ma quelle immagini, quel turbine di emozioni avevano risvegliato la mia brama, la mia sete... qualunque essa fosse stata. Mi scuoteva i muscoli e prosciugava la mia gola mandandola in fiamme e cenere, mentre ingoiavo interi fiotti del mio stesso veleno. I canini si erano allungati spontaneamente, ormai troppo assetati e impazienti di trafiggere carne viva e imbèrsi del sangue più dolce e zelante.
Scivolai fuori dalle lenzuola rosso-oro di seta e broccato molto più rapida e leggera di un velo nel vento. Indossai la mia vestaglia nera di seta sull'intimo di pizzo e sfilai fin sul tetto del castello in meno di dieci secondi. I lembi del tessuto liscio, leggero e morbido scivolavano sulle mie gambe lunghe e statuarie scoprendole continuamente, provocando un piacevole suono vellutato impercettibile all'orecchio umano, così come l'eco delle dita gelide e dure dei silenziosi Aro, Caius e Marcus che sfogliavano le pagine di centinaia di libri insieme a molti altri di noi, nella biblioteca dall'altra parte dell'enorme edificio. Jane e Alec erano a caccia, non li sentivo da nessuna parte a me percepibile, e comunque sapevo che a loro piaceva muoversi in piena notte, per torturare il cibo. Felix era nei sotterranei: "giocava" in palestra per la noia, attento a non rompere niente. I boati dei suoi colpi ormai erano musica leggera per noi studiosi notturni. Demetri... beh lui era in giro per il castello... come sempre. Lo sentivo muoversi prima lentamente, poi fulmineamente da una parte all'altra dell'edificio, e per la prima volta la cosa mi infastidì, rendendomi persino lievemente nervosa.
Come in posa per una scultura barocca, rimasi in piedi sul cornicione, lo sguardo vuoto, altero e delicato perso nella notte. Se non fosse stato per la brezza fredda che smuoveva la mia veste incosistente e lucida in una leggiadra danza nel vento, lasciandomi seminuda, sarei potuta tranquillamente passare per una candida statua sacra, una di quelle che raffigura una qualche santa messa alla protezione di una chiesa, nel suo punto più alto, lì dove può essere più vicina al cielo, lì dove tutto può osservare.
Non ricordavo quasi nulla della mia vita umana, ma non avrei mai potuto scordare il mio vecchio aspetto, quello stesso aspetto che mi aveva condannata alla più atroce delle torture e poi alla morte. Ma non avevo mai saputo nulla del passato di Demetri, come me, non era di certo incline a raccontare di se stesso, e del resto a me non era mai importato nulla. Ne tantomeno avrei mai potuto conoscerlo da umano. Quando, neonata, giunsi a Volterra, Aro mi disse semplicemente che era lì già da molto tempo prima del mio arrivo, persino della mia nascita, e che non era uno dei vampiri più formidabili al mondo solo per via della sua età. Collegai le sue successivamente sperimentate abilità da segugio, e la sfumatura olivastra che la sua pelle candida aveva nonostante tutto mantenuto, a quella divisa zincata orientale che, prima del mio sogno, gli avevo già visto indosso altre sporadiche volte, durante i secoli, più che altro quando usciva da solo e per quelle missioni che la sua vanità reputava "le più prestigiose". Per il resto indossava i colori scuri e gli stili antiquati del nostro ordine, quelli imposti da Aro, quelli che io, per fortuna, non ero tenuta a possedere, dato che, in quanto cacciatrice dei Volturi e quindi colei che più di tutti doveva stare a contatto con gli umani, ero tenuta ad essere sempre in ghingheri, quelli più moderni, che avrebbero dovuto dare nell'occhio per la loro eleganza e non per il loro aspetto stantio. Almeno per le "riunioni di famiglia", Demetri decideva ad ogni modo di assecondarlo e accontentarlo, evitando così le solite noiose dispute verbali che ci facvano perdere inutilmente tempo prezioso. Ma in realtà era solo un modo palese di dimostargli quanto poco gliene importasse, se così non fosse stato, avrebbe indossato quel suo abito tanto adorato. Era come una specie di abito da cerimonia, il vestito gelosamente tenuto da parte per le feste e per questo sempre tirato a lucido. Lo aveva sempre avuto, almeno lo aveva già, quando giunsi io, 480 ann fa. Ma in effetti non sapevo cosa significasse, da quale luogo e tempo arrivasse. Una cosa sola era certa: Demetri aveva visto il deserto molto, molto da vicino.
Perchè lui? Perchè con me?!! Perchè io?!! Ma sopratutto, perchè così meravigliosamente, imperfettamente, calorosamente umani come mai e mai più ci avrei rivisti?

Edited by †Heidi~ - 1/12/2010, 16:03
 
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