Twilight GdR

Le début, alla ricerca di nuovi orizzonti

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Ariel Fontaine
view post Posted on 27/2/2010, 13:28 by: Ariel Fontaine








Non era certo la prima volta che viaggiavo in aereo.
La prima volta che mi ero sollevato nell’azzurro del cielo e avevo coraggiosamente sfidato le leggi gravitazionali a bordo di un velivolo, era stata nel novembre di quattro anni fa quando avevo vinto una borsa di studio per i miei eccelsi meriti scolastici.
Sin da piccolo ero sempre stato animato da un vivo desiderio di conoscere quella che era la capitale del romanticismo mondiale e una delle più rinomate e ricercate città d’europa. Quando per la prima volta misi piede sull’asfalto della ville romantique de Paris mi senti pervaso improvvisamente da una forte eccitazione e da quel giorno giurai che nulla al mondo avrebbe cambiato il mio proposito di vivere a Parigi, o almeno era quello che credevo.
Questa volta non era stata la carriera scolastica a mettermi in volo e allontanarmi da casa, sebbene ormai non la si potesse più definire tale. La casa per un uomo dovrebbe essere un luogo di riposo, una tana in cui si ha il pieno riconoscimento della propria felicità in sintonia di una famiglia.
Nella propria casa un uomo deve costruire i rudimenti della propria esistenza, senza dover temere ciò che gli sta intorno e rallegrarsi di tutto quello che ha, poiché il segreto della felicità sta nel desiderio di volontà di ciò che si ha. E io ormai non avevo più una casa.
In segreto, giorno dopo giorno, ero riuscito a racimolare una cospicua somma di denaro e, a dispetto delle laboriose difficoltà alle quali le bugie e l’ipocrisia mi avevano vergognosamente piegato agli occhi dei miei cari, avevo finito per stipulare tutta una serie di contratti che segnarono la mia definitiva partenza verso una nuova meta.
Ora finalmente ero arrivato a Forks, la mia nuova casa.
Non saprei spiegare precisamente che cosa mi avesse spinto a prendere questa decisione, per quale astrusa ragione avevo scelto di trasferirmi nella piovosa città – se cosi la potremmo definire- di Forks.
Forse era per il fatto che contava meno di tremila teste e questo era un fattore che influenzò decisivamente la mia scelta e motivare le mie ipotesi fuori dal mondo sarebbe stato meno impegnativo.
Provate ad incanalare un vostro pensiero nella testa di un ristretto gruppo di amici e allo stesso modo provateci con un’intera popolazione, il risultato sarà sorprendente.
La fiducia è un bene fragile. Se la si guadagna si gode di una libertà illimitata, ma una volta persa può risultare quasi impossibile riconquistarla.
La verità è che non sappiamo mai di chi poterci fidare. Anche chi vive accanto potrebbe tradirci, mentre gli estranei a volte ci vengono in aiuto.
Alla fine la maggior parte di noi, decide di fidarsi solo di se stessi; E’ il modo migliore per evitare cocenti delusioni.
Gli esseri umani sono creature complicate. Da una parte capaci di compiere grandi atti di altruismo, dall’altra capaci delle più subdole forme di tradimento.E’ una lotta costante che si scatena dentro di noi, tra la nostra parte angelica e i nostri demoni più oscuri. E a volte l’unico modo per respingere il buio è far brillare la luce dell’umana pietà.
Ma forse non era stato proprio quello il motivo preciso che mi aveva portato a Forks , e questo, sebbene cercassi di nasconderlo a me stesso, lo sapevo bene.
Dodici anni fa, quando avevo solo sei anni, ero seduto per terra, a guisa di ogni altro bambino, a giocare con i robot mutanti che mi aveva regalato mio padre dopo essere tornato da un lungo viaggio all’estero.
Non ricordavo precisamente in che modo si svolgesse la vicenda ma nella mia mente si era scatenata un’indissolubile reazione che non avrei mai dimenticato per il resto della mia vita.
Mister Solomav – era cosi che identificavo il capo dell’esercito degli ibridi spaziale, stava effettuando un’imboscata bellicosa allorché un’assordante grido irruppe agghiacciante nella cucina, interrompendo i miei attacchi militari.
Mia madre era caduta per terra e l’immagine che vedo quando mi sforzo di ricordare quella fatidica giornata è offuscata dalle lacrime che velavano i miei occhi arrossiti.
Papà piangeva come non aveva mai fatto in vita sua e vedere l’immane forza di quello che per me era stato il più grande degli eroi da quando ero nato, si stava tristemente consumando insieme con la sua debolezza di fronte a qualcosa di grande e indomabile.
“Il est mort” era la risposta che ottenevo ogni volta che cercavo di indagare nella vita di mio fratello.
Mia madre, prima ancora che io nascessi, aveva dato alla luce un bambino, più tornito e grazioso di me.
Era un ragazzo dall’espressione dura e tenace ed amava l’avventura. Di lui non sapevo altro, se non che all’età di diciassette anni , quando io avevo ancora quattro anni, aveva preso i suoi bagagli ed era partito per l’america.
Mia madre e mio padre non parlavano mai di lui e ogni volta che io provavo a fare loro delle domande per avere dei chiarimenti su mio fratello, il loro volto cambiava completamente espressione e una maschera di terrore si insinuava sulle loro facce depresse; Per questo avevo deciso di non parlare più di mio fratello in loro presenza e cercare delle risposte da altre fonti.
Passati in rassegna tutti gli archivi scolastici, a partire dal primo anno delle scuole primarie fino a quello che era stato il suo ultimo anno definitivo tra i banchi di scuola, mi decisi a svaligiare le cartelle cliniche dell’ospedale pediatrico, ma i risultati erano visibilmente scoraggianti e non ero riuscito a ottenere nessun informazione che mi permettesse di avvicinarmi di un solo passo a mio fratello.
Molte volte ero assalito dalla nostalgia e mi sforzavo insistentemente di ricordare come erano stati gli anni trascorsi in sua compagnia, a quali scherzi, quali dispetti, quali giochi facevamo noi due da bambini. A volte mi immaginavo quello che avremmo fatto insieme se lui fosse stato ancora li con me.
Forse le cose avrebbero preso una piega completamente diversa. Tanto per cominciare avrei evitato tante di quelle zuffe che sistematicamente finivano con mio forte svantaggio. Non riuscivo a pensare senza un sorriso sulle labbra a quanti cerotti e quali provvedimenti ambulanti avrei evitato alla signorina Madeline.
Madeline era una donna allampanata, dai lineamenti marcati e inflessuosi e i suoi modi freddi ed abbienti la dipingevano sotto una luce di precisa austerità.
Era rigida come un manico di scopa e molto raramente le mie osservazioni di spirito e le mie battute riuscivano a strapparle un sorriso, il che evidenziava l’unico tratto del suo temperamento che la faceva apparire umana., malgrado il suo aspetto rapace.
In sostanza, se Octave – questo era il nome che mi era stato poi successivamente riferito in merito al mio unico e ignoto fratello- fosse stato ancora vivo, la mia vita sarebbe senza dubbio stata meno tormentata.
Quando mi abbandonavo all’inestinguibile flusso di pensieri e la mia mente correva in cerca di Octave, il mio viso si illuminava di gioia, pensando a quanto sarebbe stato facile superare tutte le avversità della mia vita con il suo aiuto, qualcuno a cui io potessi importare veramente.







Edited by Ariel Fontaine - 9/3/2010, 00:07
 
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